Cocina Hermanos Torres: due fratelli, un sogno parallelo che cucina bellezza

Sergio e Javier Torres sono nati a cinque minuti di distanza. Cinque minuti che li dividono all’anagrafe, ma non nel pensiero.

Osservarli orchestrare la cucina insieme è come seguire due rette parallele: non si toccano, eppure procedono in perfetta simbiosi. La loro Cocina Hermanos Torres, a Barcellona, è oggi un baluardo di innovazione e tradizione, posizionata al 78° posto nella prestigiosa classifica dei World’s 50 Best Restaurants.

Un palmarès che si arricchisce di tre stelle rosse Michelin e di una stella verde, quest’ultima espressione di scelte responsabili, una filiera trasparente e una dedizione rigorosa alla sostenibilità ambientale e territoriale.

La loro è una cucina che non alza mai la voce. Sussurra, accarezza, conduce con passo misurato chi osa avventurarsi tra le sue molteplici sfumature. La tecnica è impeccabile, la materia prima trattata con una sensibilità quasi empatica: nessun elemento è lasciato al caso, nessun sapore è disperso nel superfluo.

Lo spazio è un palcoscenico ampio 800 metri quadri, dove si fondono cucina e sala, senza separazioni né artifici. Tre le linee operative – carne, pesce e crudi – che vedono al lavoro 35 talentuosi membri della brigata, i cui movimenti sembrano danzare con grazia, scanditi dalle scarpe rosse che simboleggiano passione e ardore.

E mentre si dipana il menù “Escudella”, la narrazione culinaria si fa complessa e armoniosa. Il “Carn d’Olla” avvolge in un caldo abbraccio la memoria catalana; il panot di galet accarezza con la sua consistenza artigianale; il bombon di piparras e acciuga affumicata sorprende con un gioco di contrasti sapidi e profondi.

Non mancano le note marine: il calamaro frollato, immerso in un consommé di pollame e caviale, e il trionfo di crostacei con granchio, gambero bianco, cozze, ravanelli e peperoncini, che celebra il Mediterraneo in tutta la sua vitalità. Le 24 verdure coltivate in modo naturale si fondono con un brodo arricchito da tartufo e funghi, in un omaggio alla stagionalità e alla generosità del terroir.

Tra le portate più evocative, la prima raccolta di piselli del Maresme spicca come un gioiello vegetale, dolce e croccante, che incarna la promessa della primavera; l’anatra selvatica con mojo verde e cavolorapa evoca boschi e pranzi domenicali, con una nota audace ma misurata; la foglia di perilla, agrumi, tè verde, yogurt e erbe chiude il cerchio con un soffio di leggerezza e freschezza, un’eco di infanzia e innocenza.

Completano il racconto i ravioli vegetali di escalibada con la sua salsa, la robustezza della costata di maiale iberico con rafano, e i dessert che giocano con il cacao Barry, il fiore d’arancia e la crema catalana alla verbena, fino a “La Gioia”, un sandwich di gelato al tartufo, accompagnato da una sfera gelata al sesamo nero e dalla cara crakine di Sergio, dove yogurt e mandorla si fondono in un abbraccio aromatico e avvolgente.

Il racconto dei sapori trova il suo perfetto contrappunto nella cantina: 800 metri quadri che custodiscono oltre 1700 etichette, una sinfonia enologica che spazia dai classici champagne — come il vibrante Louis Roederer, capace di amplificare la freschezza dei crudi — ai vini d’autore come il Silex di Didier Dagueneau, un’interpretazione minerale e potente che dialoga con le intensità della carne e del brodo.

Dal 2018, il progetto ha preso forma grazie a un investimento significativo che ha unito estetica e funzionalità, creando uno spazio in cui il cliente diventa testimone partecipe di ogni gesto, senza alcuna spettacolarizzazione.

E poi ci sono loro, Sergio e Javier: gentili, sorridenti, attenti, con un garbo che nasconde la grinta di chi ha faticato e ha sempre creduto nella bellezza del mestiere. Guardarli all’opera significa assistere a una sinfonia a quattro mani, una vita condivisa che si traduce in una visione doppia ma unitaria, capace di procedere sempre nella stessa direzione.

Ho fatto un lungo viaggio per potermi sedere al loro tavolo. E mentre mi perdo tra quel gioco di contrasti, texture e profumi, mi chiedo: forse è proprio questo equilibrio, questa danza di differenze calibrate, che trasforma una lunga attesa e un viaggio in un’esperienza indimenticabile. Quanto ancora possiamo imparare dall’arte sottile di combinare differenze in perfetto accordo?

Cocina Hermanos Torres: Two Brothers, One Parallel Dream That Cooks Up Beauty

Sergio and Javier Torres were born five minutes apart.
Five minutes that separate them on paper, but not in thought. Watching them orchestrate the kitchen together is like following two parallel lines: they never touch, yet they move in perfect harmony. Their Cocina Hermanos Torres, in Barcelona, now stands as a stronghold of both innovation and tradition.

Their accolades include three Michelin stars and a Green Star, the latter symbolizing responsible choices, a transparent supply chain, and a steadfast commitment to environmental and regional sustainability.

Their cuisine never raises its voice. It whispers, caresses, and gently guides those willing to explore its many nuances. The technique is flawless, the ingredients handled with an almost empathic sensitivity—nothing is left to chance, and no flavor is wasted on the superfluous.

The space itself is a stage—over 800 square meters where kitchen and dining room merge without barriers or artifice. There are three main stations—meat, fish, and raw dishes—run by a brigade of 35 talented chefs whose movements seem to dance with grace, paced by their symbolic red shoes, a nod to passion and intensity.

As the “Escudella” menu unfolds, the culinary narrative becomes intricate and harmonious. The Carn d’Olla envelops with a warm embrace of Catalan memory; the panot de galet soothes with its artisanal texture; and the piparras and smoked anchovy bonbon surprises with its bold and savory contrast.

The marine notes are just as evocative: aged squid in a poultry and caviar consommé, and a triumphant ensemble of crab, white shrimp, mussels, radishes, and peppers—a vibrant ode to the Mediterranean. Twenty-four naturally grown vegetables merge into a delicate broth enhanced by truffle and mushrooms, paying homage to seasonality and the bounty of the land.

Among the most evocative dishes, the first harvest of Maresme peas shines like a vegetal jewel—sweet and crisp, promising spring; the wild duck with mojo verde and kohlrabi recalls forest aromas and Sunday meals, bold yet restrained; and the perilla leaf with citrus, green tea, yogurt, and herbs closes the circle with a whisper of freshness—a fleeting memory of childhood and innocence.

Completing the story: vegetable ravioli with escalivada sauce, the sturdy Iberian pork chop with horseradish, and desserts that dance between Barry cocoa, orange blossom, and Catalan cream with verbena, ending with La Gioia—a truffle ice cream sandwich accompanied by a black sesame sphere and Sergio’s beloved crakine, where yogurt and almond melt into an aromatic, enveloping embrace.

The flavor journey finds its perfect counterpoint in the cellar: 800 square meters housing over 1,700 labels—an oenological symphony ranging from classic champagnes like the vibrant Louis Roederer, which elevates the freshness of raw dishes, to Silex by Didier Dagueneau, a mineral and powerful interpretation that resonates with the intensity of meats and broths.

Since 2018, this vision has taken shape thanks to a significant investment that fused aesthetic with function—creating a space where the guest becomes an active witness to every gesture, never turned into a spectacle.

And then there are Sergio and Javier: kind, smiling, attentive—with a gentleness that conceals the grit of those who’ve labored and always believed in the beauty of their craft. Watching them work is to witness a four-handed symphony, a shared life transformed into a dual yet unified vision, always moving forward in the same direction.

I traveled far to sit at their table.
And as I lose myself in this play of contrasts, textures, and aromas, I can’t help but wonder:
How many other harmonies of this caliber are out there, still waiting to be discovered?

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